lunedì 16 giugno 2008

Rabbioso nelle mani che distruggono

Hai rotto e ritorto supini corpi che ti parevano di molle e viva carne, invece della gracchiante giuntura di metallo e cuio nero.

Quel gracchiare della pelle conciata che stride quasi nelle orecchie, sfilacciando i suoni proprio nel momento prima dello strappo.

Strappo.Lacerazione.Rottura.

Dilania.

Altrui coscienze a morsi sferici e rabbiosi ti prendono le carni a tirare quasi come fameliche belve in attesa da millenni.

E ogni volta stupore e diniego, incredulo e ruvido lo sguardo si posa sulle vesti macchiate e intrise.

Pregne.

Non sai se solitudine.
Non sai se ardimento.
Non sai se tu e gli altri no.

Traboccante di madido odio prendo per i lembi strade e pavimenti, alzati e sbattuti al vento come lenzuola polverose; giro roteando spingendo tirando fino a che gli avambracci brucino nei muscoli doloranti.

E che brucino.

E prendano fuoco i lembi, le tese, le falde e gli spigoli di questa realtà di quadrate facce rattoppate.

1 commento:

.m. ha detto...

lo stupore, il diniego.
i millenni.
e ruvidi, gli occhi sopostano ossa e cadono i denti a mordere.


lo stupore e il diniego qui si fanno carne che pesa secoli di.
di cosa, amico mio?
pesa.
è un peso.

questo andare, questo venire, questo essere conciati a festa, ad allungare, a dire con la bocca piena di, piena sì, tutto questo girone famelico cede e porta lo strascico.

non è un sisma.
è uno strascico.

non voglio vederti così, io.
mai.
non potrei reggere certe lame, io.
mai.

le altrui coscienze, spesso, mi soffocano e il collo ne paga piegandosi a V.

e no si vince sempre da queste parti.

dilania, già.

(il tuo post è più ruvido della mulattiera che mi separa dall'ultimo scoglio, dietro il mare. ruvide le tue parole. ruvido)