Aver le mani stese allungate aperte oblique su tasti neri e bianchi poco più che legno e osso una volta vivi.
E riviverli ancora molto più assonanti di quella realtà che mal si cela dietro a inutili melodie trite di giorni granulosi sotto il sole di maggio.
Se mi guardo li nel nero di fronte vedo anche l'immagine riflessa nella liquida smaltatura di cera del legno.
Un velo di notte d'ebano avvolto in tese di note pure e laschi accordi di melliflue corde di metallo.
E le coppie di note, le triple, i gruppi e le due mani assieme tornano su scoperte sempre nuove per cascate di suoni a zecchini svuotati in una fontana d'argento.
Dagli occhi di luna anche stasera mi guardano certe sirene li in attesa con la guancia contro il muro.
Ancora bisbigliano a bassa voce e mostrano i candidi denti come lutee perline; ancora sorridono con gli occhi e non ne forman mai rughe i loro sottili pensieri.
martedì 6 maggio 2008
Negli angoli sirene
Pubblicato da V. alle 21:22
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1 commento:
il suono del piano sa essere cosi dolce e delicato, cosi profondo e violento... ha la capacità di penetrare ovunque. e ogni nota scivola liscia...fuori dal genio.
...io...
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